Prodotti tipici della Cucina Abruzzese, con
indicazione delle località di provenienza
Favorita dai prodotti della sua terra, la
regione abruzzese vanta una cucina saporita, sostanziosa e, spesso,
magistralmente piccante. Sono primi piatti e pietanze semplici e sani,
realizzati secondo genuine regole patriarcali radicate nell'anima popolare,
consone alle tradizioni della vita agreste e frugale della gente di questa
regione, la quale, per secoli, è stata incentrata nel focolare domestico.
Tante sono le specialità quanti sono i paesi che le producono, e per ogni
specialità c'è una sagra gastronomica che esalta il prodotto o il piatto
particolare del vì1laggio. Tra le tante si ricordano, nell'Aquilano: la Sagra
della Polenta a Pettorano sul Gizio, delle Fragole a Capistrello, dell'Agnello a
Rocca Pia e a Collelongo, del Prosciutto a Tornimparte, della Pecora a
Villavallelonga, del Vino a Vittorito, delle Lenticchie e della Salsiccia a
Santo Stefano di Sessanio, del Fagiolo a Paganica, del Risotto allo zafferano a
Prata d'Ansidonia, della Bistecca a Sante Marie, della Castagna a Carsoli, delle
Fave a Paterno, delle Ciliege a Raiano.
Nel Chietino: la Sagra della Porchetta ad Ari, del Bufalo ad Atessa, del
Fiadone (dolce pasquale, pizza rustica) a Borrello, del Carciofo a Cupello,
della Porchetta e del Cocomero a Fresagrandinaria e Roccamontepiano, delle
Ciliege a Giuliano Teatino, delle Triglie a Ortona, dell'Agnello a Palena, delle
Fragole a Passolanciano di Pretoro, dei Maccheroni alla chitarra a Pizzoferrato,
delle Fave a Pollutri, della Porchetta a Ripateatina, delle Cozze a S. Vito
Chietino, delle Panicelle (pagnottelle di pane di piccolo formato) a Taranta
Peligna, del Vino a Tollo.
Nel Pescarese: la Sagra del Pino e delle Fragole a Brittoli, dell'Uva a Città
S. Angelo, della Trota e del Gambero a Popoli, del Pollo a Tocco da Casauria.
Nel Teramano: la Sagra del Prosciutto nostrano a Basciano, della Porchetta a
Campli, Colledara, Montepagano e Sant'Omero, della Salsiccia e del Vino a Torano
Nuovo, della «scurpella» a Fano Adriano, della Capra di Nereto, dell'Agnello a
Corropoli, del Pecorino ad Atri, delle Pragole al Bosco Martese.
Gli ingredienti che assicurano il successo e la notorietà a questa
gastronomia di montagna e di mare sono semplici e sempre gli stessi di tanti
anni fa: il grano cresciuto sui terreni montani, che favorisce la preparazione
di gustose paste alimentari; le carni freschissime e saporite dei bovini e degli
ovini allevati negli alti pascoli ricchi di erbe aromatiche; il pollame di
fattoria; i formaggi pecorini della montagna e le scamorze di Rivisondoli, gli
insaccati di carne di maiale dolci e salati, il prosciutto magro saporoso, i
pesci del limpido mare Adriatico; i prodotti ortofrutticoli, le verdure, tra le
quali famose le insalate miste, deliziose per le profumate varietà di cui si
compongono, che sono state esaltate anche dal grande scrittore latino sulmonese
Ovidio come « Virides Malvae »; i legumi; la cacciagione e le specie ittiche
delle trasparenti acque dei fiumi, torrenti e laghi di pianura e di montagna,
tra cui prelibati le trote e i gamberetti; i tartufi neri, la produzione
pregiata dei quali è diffusa in moltissimi paesi, a differenza dello zafferano
che si coltiva solo sul Piano di Navelli; la frutta fresca e secca; i dolci di
produzione prevalentemente casalinga; i vini assai apprezzati, che vanno sempre
più affermandosi così come avviene per i liquori, alcuni dei quali di grande
notorietà.
La genuinità dei prodotti, esenti da ogni sofisticazione, è assicurata dalla
produzione fedele a formule tradizionali, sia nei focolari domestici sia nei
ristoranti e nelle trattorie di ogni categoria.
Le pietanze sono numerose e
tutte si fanno elogiare in uguale misura.
La scrittrice aquilana
Laudomia Bonanni ha illustrato in un suo articolo un banchetto del contado
composto di trenta portate.
Gian Gaspare Napolitano, famoso scrittore-giornalista, scomparso anni or
sono, molto legato alle gioie della buona tavola, ha curato, ne «Lo Stivale allo
Spiedo », edito da Canesi, la descrizione della « panarda» dell'Abruzzo montano,
lauto tradizionale banchetto di festa delle occasioni memorabili, imbandito per
la riunione di un popolo frugale e semplice che decide, una volta tanto, di dare
fondo alle provviste per fare sfoggio di una vera e propria rassegna di pietanze
che oscillano tra un numero di 35-40: un simposio rituale illimitato, un vero
mito festivo. Di essa lo scrittore ha detto: «È l'araba fenice della mensa
abruzzese, un pranzo che rinasce quando sembra ormai consumato, ricominciando
ogni volta che arriva alla fine, una valanga di cibi addirittura, gustosi tutti,
anche se non raffinati, ma sopra ogni cosa abbondanti.... ogni pretesto è buono.
E la panarda non si mangia soltanto; se ne parla, si pregusta, si prepara con
ogni cura, con ricerche e accumuli di cibarie perchè riesca copiosa... E'
sopravvissuta alle carestie, ai guasti e
alle invasioni della guerra».
Fernando Aurini, nel volumetto «Cucina
Teramana », sostiene che non c'è teramano che non sia ghiotto dei suoi piatti
tradizionali che costituiscono la nota caratteristica della città pretuziana e
giovano alla propaganda turistica di essa non meno del mirabile portale trecen·
te sco del suo Duomo o dei campi di sci di Pietracamela.
Malgrado le dominazioni, il malgoverIlo, le
cospirazioni, tutte le batoste avute nel corso della storia - prosegue l'Aurini
- i teramani non hanno mai perduto l'abitudine di mangiar bene ed
abbondantemente, evidenziando che i piatti alla teramana vantano una vasta,
meritata rinomanza, e non da oggi. Non ·sono complessi, seppure sostanziosi e
ricchi di condimento e di odori. Risalgono certamente a tempi medioevali
quando moglie e marito mangiavano in un unico piatto e la tavola era
rischiarata dal fuoco delle lucerne ad olio:
La natura, mai tanto provvida come in
Abruzzo, ha dìstribuito ad ogni mese le sue specialità: a gennaio e febbraio -
quando le salsicce cominciano a indurire, prima di metterle nella sugna o
nell'olio per conservarle morbide e profumate durante l'estate - è di rito la
pastuccia, una specie di spessa focaccia di granturco con salsicce e uva
passa; e, subito dopo, all'arrivo del Carnevale, l'obbligo è di attripparsi di
ravioli di ricotta fritti o lessati, cosparsi di zucchero e cannella, o al
sugo di ragù, e di panzerotti. Ad aprile i teneri agnelli pasquali da cui si
ricavano le deliziosissime mazzarelle, involtini di frattaglie con erbe
fresche e aromatiche.
Ma è maggio il paradiso dei ghiottoni: tutte
le leccornie della tavola tornano in onore dominate dalla fragranza dei
carciofi ripieni con carne e con tonno, o con alici e pan grattato impastato
in uova e ammorbidito da genuino olio di oliva; le Virtù, che costituiscono il
non plus ultra, la quintessenza di ogni squisitezza: piatto famosissimo che
appare sulle mense con le prime fave, i piselli e i carciofi novelli, che
vanno nella preparazione di questo piatto, insieme all'osso di prosciutto,
orecchi e zampetti di maiale, e una varietà copiosissima di legumi secchi, di
freschissime erbe, erbette e verdure.
A giugno, con le tenere giuncate, la
quagliata, e le lumache in guazzetto, ricercatissime, dopo essere state
accuratamente spurgate in sale e aceto, con erbette, peperoncino e un sughetto
tUtto particolare. Negli altri mesi e in tutti i mesi dell'anno, a prescindere
dai tradizionali, famosissimi maccheroni alla chitarra, sempre
prontI, In ogni mese, nelle case e nei locali di ristoro di tutta la regione,
abbondano anche altre specialità e piatti genuini caratteristici, come le
millefoglie guardiesi (Guardiagrele), i maccheroni neri con aglio e olio, la
minestra di cardoni in brodo, l'agnello imporchettato, il capretto alla
pecorara, il brodetto di pesce alla vastese, lo scapece (pesce marinato), i
polpi in purgatorio, il brodetto alla «pescarese», le triglie sul focone, il
guazzetto di pesce in bianco, la coda di rospo alla cacciatora, e cento altre
leccornie.
Una nota a parte, a
chiusura della breve panoramica gastronomica. il ricordo di alcune specialità
dolciarie è d'obbligo. Tra queste primeggiano il torrone Nurzia dell'Aquila,
il torrone di Guardiagrele, i confetti di Sulmona, il parrozzo di Pescara (pane
rozzo realizzato con farina, uova, mandorle tritate, ricoperto di cioccolato),
la cicerchiata di Chieti (pasta dolce a forma di piccoli ceci, uniti dal
miele), le ferratelle abruzzesi (impasto di farina, uova, zucchero, olio,
cotte nell'internò di un ferro arroventato), il fiadone pasquale (farina,
uova, formaggio, ricotta, salsicce, ecc.), i bocconotti teramani (strutto,
zucchero, farina, torli d'uovo), i calgionetti, ugualmente teramani, dalla
forma di grossi ravioli, avvolti nella pasta sfoglia,. fritti in olio
abbondante, cosparsi di zucchero e cannella, i pepatelli teramani (miele,
buccia di arancia grattugiata, mandorle tritate, farina di tritello piuttosto
pepata), il pan ducale di Atri, la pizza ripiena con crema e marmellata di
lamponi o fragole dei boschi del Parco Nazionale d'Abruzzo, dell'Altopiano
delle Rocche, del Monte Sirente e di Pescocostanzo, i mostaccioli e «pane
dell'orso» di Scanno.
Nella produzione vinicola
prevale la gamma dei vini bianchi. Fra i più apprezzati il bianco di Corfinio,
Vittorito, Capestrano e Caporciano, il vin cotto invecchiato di Corfinio, di
Pratola Peligna e di Loreto Aprutino, i cera suoli di Sulmona, di Lanciano, di
Vittorito e di Popoli, il Montepulciano d'Abruzzo, il rosato dell'Aquilano e
taluni vini bianchi e rosati prodotti nel Teramano a Campli e a Giulianova,
oltre che i rossi di Miglianico, Rocca S. Giovanni e Casalbordino in provincia
di Chieti. Da ricordare infine la produzione di alcuni liquori: Aurum, Centerba e la Mentuccia di San
Silvestro nel pescarese; Amaro Maiella, Punch Maiella a Corfinio nel Chietino;
il Doppio Arancio prodotto in Giulianova, il Punch di Atessa, i digestivi
Taccone di Avezzano, l'Hermont di Pietracamela e il Gran Sasso di Montorio al
Vomano.